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Le voci del glossario sono tratte da l'Enciclopedia del Vino di Boroli Editore. |
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· VITE
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In senso lato, il termine vite indica una pianta della famiglia delle Vitaceae, quale per esempio Parthenocissus quinquefolia o P. tricuspidata (vite del Canada), o tutti i membri del genere Vitis e Muscadinia. La famiglia delle Vitaceae comprende liane legnose, rampicanti perché fornite di cirri o viticci opposti alle foglie; queste si presentano lobate o suddivise in vario modo; i fiori sono ermafroditi o unisessuali, a quattro o cinque divisioni, con calice ridotto e petali verdastri liberi o, più spesso, congiunti all’apice a mo’ di cappuccio; i frutti sono delle bacche.
In senso stretto o seguito dall’aggettivo ‘europea’, il termine vite indica la Vitis vinifera. La vite vinifera nella forma spontanea (Vitis vinifera ssp. silvestris) è una pianta presente nella flora del bacino del Mediterraneo dell’Europa centro-meridionale, della regione anatolica e di quella trans-caucasica. La vite coltivata (Vitis vinifera sottospecie sativa) si differenzia da quella selvatica per numerosi caratteri ecologici, morfologici e fisiologici. Senz’altro l’aspetto discriminante più rilevante è quello legato alla sessualità delle piante e alla dimensione dei loro organi. Le forme domestiche sono ermafrodite e di dimensioni maggiori di quelle selvatiche, che sono invece dioiche (cioè con sessi separati).
Le fasi della domesticazione
Sulla base dei dati archeologici, paleobotanici ed etnografici è possibile distinguere le fasi della domesticazione della vite selvatica.
•Pre-domesticazione: in questa fase l’uomo non ha esercitato di fatto alcuna particolare pressione selettiva sulla vite. La vite, analogamente a tante altre piante, è stata solo oggetto di raccolta allo stato spontaneo. Questa fase è perdurata per tutto il Paleolitico, il Mesolitico e parte del Neolitico.
•Paradomesticazione embrionale: l’esistenza di questa fase è solo ipotetica e ha poche basi archeologiche. Essa si collocherebbe all’inizio nel Neolitico e avrebbe connotati analoghi a quelli della fase successiva, ma, allo stato delle conoscenze, più difficili da identificare in base alla documentazione archeologica e paleo-botanica.
•Paradomesticazione: questa fase si colloca nel tardo Neolitico, ma prima dell’Età del bronzo. Le evidenze paleobotaniche, e in modo particolare i primi ritrovamenti di vinaccioli allungati e con becco prominente, testimoniano la comparsa dei caratteri della domesticazione. Quanto alle tecniche di coltivazione, si ritiene che in questa fase esse si limitassero alla protezione delle piante selvatiche, vegetanti negli ambienti naturali o eventualmente nate spontaneamente in ambienti antropizzati, mediante interventi volti a ridurre la competizione esercitata da parte di altre specie non utili (e, forse, anche mediante primitivi interventi di potatura delle piante, con la rimozione di eventuali parti morte o danneggiate). La pressione selettiva esercitata dall’uomo fu in questa fase assai modesta, ma potrebbe avere favorito le forme ermafrodite.
•Proto-domesticazione: questa fase si realizza nell’Età del bronzo ed è connessa con la sedentarizzazione delle comunità umane, a sua volta legata all’introduzione dell’aratro. La nascita dei primi borghi stabili avrebbe favorito, secondo il Dump Heap Model (teoria degli immondezzai), le condizioni d’innesco del fenomeno di domesticazione vero e proprio. Infatti, nel caso della vite, le piante nate dai semi accumulatisi negli immondezzai, ai margini dei borghi, sarebbero state oggetto di forme primitive di coltivazione, di selezione e, quelle migliori, di successiva moltiplicazione. In questo modo la pressione selettiva esercitata dall’uomo, con la scelta delle piante da moltiplicare, avrebbe consentito dapprima di fissare e, in seguito, di migliorare progressivamente quei caratteri utili alla produttività (ermafroditismo, dimensione della bacca e dei grappoli) e alla qualità del prodotto (accumulo zuccherino, resistenza alla siccità ).
Le regioni della domesticazione
Dal punto di vista cronologico, questi processi si sarebbero verificati più precocemente nella regione della Siria-Anatolia e nel Nord-Ovest della Mesopotamia e solo in seguito nella regione transcaucasica. Il processo di domesticazione si sarebbe poi ripetuto anche in altre regioni quali: Grecia, Italia centro-meridionale, Italia settentrionale, Francia meridionale e Iberia sud-orientale e settentrionale.
In queste zone di domesticazione secondaria il processo fu accelerato e guidato dagli influssi culturali prima e, successivamente, dagli apporti diretti delle attività che i coloni greci, fenici e punici esercitarono nel bacino occidentale del Mediterraneo. Si può dunque ritenere che, negli areali di distribuzione della vite selvatica, l’introduzione prima del consumo del vino e poi della viticoltura vera e propria si sia sovrapposta al preesistente substrato culturale locale caratterizzato da uno stadio di proto-domesticazione della vite le cui tracce sono spesso documentate anche dall’archeologia. È interessante notare che la viticoltura fu precocemente introdotta anche al di fuori dell’areale della vite selvatica, in Mesopotamia, Libano, Palestina ed Egitto. Sulla base dell’iconografia e delle indicazioni letterarie che testimoniano le viticolture più antiche, ossia quelle del III millennio prima di Cristo, è possibile dedurre come le varietà coltivate fin da quell’epoca avessero caratteristiche di piena domesticazione.
[O.F.]
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